GIORGIA LOI Le ragioni della lezione frontale

[post su facebook, 13 marzo 2024]

La parola «scuola» viene dal greco «scholé» (σχολή) e significa «tempo libero», che per i Romani era l’«otium», per differenziare il tempo del lavoro, dell’attività pratica, da quello della meditazione personale, dello studio, della lettura, della creatività.

Quando penso alla «scholé» mi viene in mente Aristotele che passeggia con i suoi discepoli nel Peripato conversando amabilmente con loro del mondo, della vita e della morte, del bene e del male, dell’amore e dell’odio. Penso a Socrate che parlava ai suoi per le strade e le piazze di Atene, a Galileo che teneva le sue lezioni di matematica da una cattedra universitaria di fronte a centinaia di studenti affascinati.

In tempi in cui la lezione frontale è sotto accusa come residuo di pratiche antiquate, io la difendo. Non solo, dico che, pur restando ferma l’esigenza di contaminare metodi e strategie operative poiché la didattica non è e non potrà mai essere una scienza esatta, essa deve restare necessariamente centrale. Sì, proprio la disposizione frontale del docente-maestro che guarda negli occhi i suoi studenti e li incontra nei loro bisogni e nella loro tensione emotiva: entusiasmo, ma anche noia, stanchezza, calo di attenzione, tristezza, e lo fa usando i contenuti disciplinari, la cui organizzazione, selezione, preparazione avviene di necessità in un grande lavoro domestico e «sommerso», spesso non compreso e che talvolta dura giorni e settimane ed è pensato per quella classe, per quegli studenti, con il loro vissuto, scolastico e non solo. Se si vuole lavorare sulle emozioni a scuola (cosa che peraltro si fa già) si riparta proprio da qui, dalla lezione frontale. Chi la stigmatizza ritenendola fondata sul principio sorpassato di trasmissione del sapere non ha contezza di ciò che dice e fonda il proprio assunto sul pregiudizio che l’attività di «ascolto» sia passiva e inerte da parte degli studenti. Questo pregiudizio è gravissimo, specie se sostenuto da chi si ritiene esperto di didattica e pedagogia e fa formazione degli insegnanti, perché dimostra che non si ha la più pallida idea di ciò che avviene dentro un’aula.

Non c’è niente di più attivo e operante di uno studente che ascolta nel silenzio di una lezione: il discente, frastornato e disorientato dai molteplici stimoli della realtà esterna, in classe può fermarsi a riscoprire il valore dell’ascolto che implica tutt’altro che passività. Un bravo insegnante sa come «commuovere» nel senso di «cum movere» e cioè provocare, stimolare, emozionare, mettere in moto meccanismi di relazione multidirezionale docente-studente e studente-studente. Il tono della voce, la postura,  domande-stimolo, piccole attività veloci da svolgersi nell’immediato, qualche battuta che smorza e alleggerisce il clima, la preparazione di materiali efficaci e ben strutturati che siano un’utile guida allo studio, che chiariscano e incoraggino anche i più pigri e difficili, la lettura di brani su cui riflettere e imparare a svolgere un’analisi testuale, un’interazione complessa e vitale che è impossibile dettagliare, questo e molto altro è la Lezione frontale, anima della didattica. Multidirezionale, terreno di incontro e scontro educativo, un «cum- dividere» che solo una visione miope e ingenua può ridurre a «trasmissione passiva delle conoscenze» o addirittura a «vizio di forma» ed «equivoco profondamente radicato e pervasivo» nella scuola italiana, come sostiene da anni il noto pedagogista Daniele Novara.

In essa anche la centralità è condivisa: al centro è il docente che media il sapere rendendolo fruibile a tutti, ma al centro resta anche lo studente e il suo diritto ad avere un modello di riferimento autorevole e preparato nella disciplina che lo guidi e lo orienti nella scoperta perché si realizzi quel tempo di grazia che i Greci chiamavano «scholé», estraneo alle logiche efficientistiche  e produttive di tipo economicistico.