LOUIS-FERDINAND CÉLINE Contro il laidume degli uomini l’istinto non inganna

Da «Guerra»

Una mattina mi vedo entrare nella sala un generale con quattro galloni, preceduto per l’appunto da L’Espinasse. Dalla faccia che c’avevano tutti e due, sento la sfiga che mi piomba addosso.
Ferdinand, penso io, ecco il nemico, quello vero, quello della tua carne e del tuo tutto… guarda che faccia che c’ha ‘sto generale, se non lo fai fuori tu, ti fa fuori lui, dovunque mi trovo, mi dico fra me e me. Pensieri così mi isolano da tutti. Ora come ora parla soltanto l’istinto e non sbaglia. Allora possono pure rifilarmi canzonette, sagre, panna montata, opera lirica, cornamuse, perfino un culo satinato dagli angeli del paradiso.
Ho l’intelligenza salda, mi intosto fino al buco del culo, manco il Monte Bianco con le rotelle mi farebbe spostare. Contro il laidume degli uomini l’istinto non inganna. Basta scherzare. Si contano le munizioni. Mi sono rotto. Quello si avvicina al letto. Si siede e apre una cartella bella gonfia. Bébert appizzava l’orecchio pure lui per vedere come me la cavavo. L’Espinasse me lo presenta.
«II comandante Récumel, relatore al consiglio di guerra del 92° corpo d’armata, è qui per indagare sulle circostanze in cui lei è venuto a trovarsi con il suo convoglio, Ferdinand. Siete caduti in un’imboscata, non è vero Ferdinand, come lei mi ha raccontato… C’erano delle spie che vi hanno dato la caccia sulla strada e su…».
Mi dava l’imbeccata la pollastra. Mi dava manforte come si suol dire. Il muso di Récumel non era uno zuccherino. Ne avevo conosciute, manco a dirlo, di facce di graduati che perfino un topo a caccia c’avrebbe pensato su prima di darci un morso. Ma il comandante Récumel superava la mia esperienza in fatto di ribrezzo. Anzitutto non aveva guance. Aveva solo buchi da ogni parte come un morto, e poi soltanto un po’ di pelle gialla e pelosa, tesa, che ci vedevi attraverso. Sotto il vuoto non doveva esserci altro che cattiveria. In fondo al vuoto delle orbite, occhi così intensi che il resto non contava più. Occhi rapaci, un po’ da andalusa. Niente capelli, al loro posto una luce bianca. A guardarlo, prima ancora che parla, Ferdinand, mi sono ridetto, peggio di così non ti può capitare. Uno più farabutto, più raccapricciante in tutto l’esercito francese sicuro non ce n’è, è uno speciale, se questo trova il modo, ti fucilano allo spuntare del giorno.
Dovevi sentirlo con le domande che mi ha fatto. Era tutto scritto, ma quello che ho subito notato, e mi ha ridato un po’ di speranza, è che non sapeva un’acca di quello che raccontava. Era tutto inventato. Con un po’ d’istruzione me lo rigiravo come un pedalino là per là. Sbavava. Mi accorgevo che sbroccava, ma non avevo abbastanza istruzione per prenderlo per i fondelli. Avrei fatto sbellicare tutti i compagni. Non capiva niente di quello che era successo con Le Drellière e il convoglio. Più cercava di sembrare informato più aveva l’aria del coglione. Certe cose uno non se le immagina, specie se è cattivo di cuore. Uno le sente punto e basta. Perciò niente da spiegare. Ho lasciato parlare la L’Espinasse, anche lei sapeva parlare molto come mio padre, per non dire niente. Quello non osava interromperla. Poco da fare, lei era una vera autorità, un pezzo grosso, le avrei baciato i denti. Ciò non toglie che il beccamorto la voleva comunque la mia pelle. Ci tornava su. Quello che ne restava, cioè. Si dimenava sulla seggiolina di ferro, faceva un rumore di nacchere con le chiappe per quanto si agitava. Ma era talmente fuori strada con quelle specie di insinuazioni che faceva ridere e anche pena. Quasi mi veniva da rimetterlo in carreggiata, da aiutarlo. Mi infastidiva per quanto era scemo. Non aveva capito niente di niente delle cose della guerra di movimento e della cavalleria [indipendente]. C’era solo da mandarlo a farsi saccagnare un po’, prima nei dragoni. Forse allora tornando avrebbe saputo, ne avrebbe tratto giovamento e cognizione. Un certo tono è tutto nella vita, anche per l’assassino.