FEDERICO CALÒ CARDUCCI La scuola che vogliamo

«Quaderni della decrescita», settembre-dicembre 2023

Sul finire dello scorso anno scolastico si è verificato un evento inatteso, una scintilla, che auspichiamo possa risvegliare un dibattito e un confronto sul ruolo e sulla missione della scuola pubblica: il Consiglio di Istituto del Liceo Pilo Albertelli di Roma non ha approvato i progetti del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Next Generation Labs e Next Generation Classrooms) previsti all’interno del Piano Scuola 4.0 del Ministero, rifiutando di fatto 273 mila euro.

Tale decisione, motivata secondo un articolo di Valentina Lupia su Repubblica dal rifiuto aprioristico della tecnologia digitale da parte di alcuni genitori, ha in realtà un respiro così profondo da smuovere fin dalle fondamenta un concetto di scuola ormai dominato, dopato e domato da logiche aziendali ed economiciste. Tant’è che si è subito attivata la macchina del fango e i genitori del liceo, con un comunicato stampa del 16/5, si sono visti costretti a replicare all’articolo di cui sopra, specificando le motivazioni che hanno spinto il Consiglio di Istituto (in realtà con i soli voti contrari del Dirigente Scolastico e di un genitore) a non approvare i progetti in questione. Motivazioni che, guarda caso, non hanno trovato spazio sul sito della scuola, al contrario della lettera aperta degli eredi di Pilo Albertelli che vedono nei fondi del PNRR un’occasione per dare alla scuola «una immagine nuova, sempre più moderna ed efficiente».

Nel comunicato viene anche sottolineato il tentativo di delegittimare l’organo collegiale cercando di mettere in discussione, con pressioni esterne, insulti ecc., la decisione già presa. Emblematica la dichiarazione della presi-dente dell’Associazione Nazionale Presidi per Roma e Lazio letta nell’articolo di Lupia: «Che importa il voto dell’organo collegiale? Se è difforme dai dettami ministeriali la scuola sarà commissariata». La buona notizia è che la polemica suscitata dalla decisione del Liceo romano non si placa, anzi si diffonde in altri istituti scolastici che stanno avviando una riflessione in merito. A tale proposito si è svolta il 15 giugno all’Università La Sapienza di Roma un’assemblea aperta dal titolo Piano “Scuola 4.0”: analisi e discussione sulla digitalizzazione della didattica e della formazione.

All’assemblea organizzata dai genitori del Pilo Albertelli, hanno preso parte oltre 150 persone tra docenti, genitori, studenti e cittadini; altre 100 persone circa si sono collegate in videoconferenza da altre città d’Italia. L’intervento introduttivo dei genitori ha illustrato i fatti del 4 maggio e spiegato le motivazioni che hanno portato alla bocciatura dei progetti. Motivazioni procedurali, poiché il dirigente scolastico dell’Albertelli, Antonio Volpe, ha elaborato i progetti senza sottoporli al Collegio dei Docenti, che ne è venuto a conoscenza solo pochi giorni prima della votazione nonostante fossero pronti da tempo, mettendo in luce il metodo verticistico e autoritario con cui Ministero e dirigenti stanno gestendo, o vorrebbero gestire la scuola pubblica.

Motivazioni economiche, poiché si tratta di soldi ricevuti in prestito, che andranno restituiti con tanto di interessi, andando così a pregiudicare nuovi investimenti per le reali urgenze della scuola pubblica, come le classi pollaio, lo stato dell’edilizia scolastica, la mancanza sistematica di personale docente e ATA che compromette la didattica e i percorsi di inclusione.

Motivazioni didattiche, formative ed educative, dal momento che l’accelerazione del processo di digitalizzazione prescinde da qualsivoglia valutazione e dimostrazione scientifica circa il suo valore pedagogico. Ad esempio, il documento approvato il 9 giugno 2021 dalla 7a Commissione permanente del Senato sull’impatto del digitale sugli studenti, afferma al contrario che «più la scuola e lo studio si digitalizzano, più calano sia le competenze degli studenti sia i loro redditi futuri». Nello stesso documento si ipotizzano possibili correttivi tra cui: «interpretare con equilibrio e la tendenza epocale a sopravvalutare i benefici del digitale applicato all’insegnamento; incoraggiare, nelle scuole, la lettura su carta, la scrittura a mano e l’esercizio della memoria».

E infine motivazioni politiche, in quanto qualsiasi progetto o idea di scuola sottende un’idea di società; in questo caso, una società tecnicista ed economicista che pone le sue basi nella digitalizzazione e nell’aziendalizzazione della scuola pubblica. Ma la Scuola della Costituzione è scuola della Repubblica, non delle lobby e dei privilegi, un luogo protetto di formazione critica per acquisire gli strumenti con cui affrontare il mondo, e non un luogo di addestramento e adeguamento al lavoro e alle sue forme.

L’assemblea si chiude con un nuovo comunicato stampa e con la proposta di dare vita ad una larga rete di collegamento, ad un osservatorio su esperienze e criticità, ad un coordinamento tra docenti, genitori e studenti, con la finalità di organizzare un convegno, da tenersi plausibilmente a settembre, al quale invitare studiosi, accademici, ricercatori, intellettuali, giuristi, non solo per approfondire l’impatto della digitalizzazione sulla didattica e sull’apprendimento, ma soprattutto per ricominciare, finalmente, a ragionare sulla Scuola che vogliamo.