Le classi pollaio non esistono

Le classi pollaio non esistono e ora vi spiego perché. Cominciamo da una semplice constatazione. Da qui a cinque anni il numero di alunni diminuirà per effetto del calo demografico. E proporzionalmente, com’è giusto, anche la spesa per l’istruzione (a favore della spesa militare, ma questo è un dettaglio). Ciò vuol dire essenzialmente due cose: gli organici saranno stabili, non verrà assunto nessun docente in più rispetto ai posti lasciati liberi dai docenti congedati, la media di alunni per classe non subirà variazioni. Una media che qualcuno giudica alta, anche rispetto alla capienza degli ambienti, ma soprattutto rispetto alla possibilità di un docente di includere un congruo numero di studenti nella sua didattica.

È tutto falso. Uno studio, adesso mi sfugge da parte di chi, ha dimostrato che più studenti in una classe equivale a maggiori risultati. Meno insegnanti più preparati, di alta qualità, addestrati per fronteggiare 30 marmocchi, selezionati con le tecniche avanguardistiche dei nuovi concorsi, è la sfida dell’innovazione, bellezze. Inoltre. Una piccola classe si affloscia, si intristisce, lo ha detto anche un ministro. Falso perché è sbagliata la premessa. Il docente non trasmette conoscenze bensì spinge verso le competenze, che contengono anche le conoscenze, di sfuggita, quindi non importa quante persone ha davanti. Prendete un Barbero che affascina una platea di ascoltatori. Ma prendete anche un film al cinema, uno spettacolo teatrale, la curva piena a un concerto di Bruce Springsteen. Qualcuno obietta che Bruce Springsteen non corregge i compiti. Si risolve tutto con i test a crocette. I chatbot possono ovviare a tanti piccoli inconvenienti, a cominciare dai colloqui con i genitori.

La questione della didattica individualizzata in un gruppo classe molto numeroso è anch’esso un falso problema, primo perché è sufficiente mettere gli studenti al centro, secondo perché dobbiamo privilegiare un approccio inclusivo, un insieme contiene dei sottoinsiemi e questi a loro volta degli insiemi più piccoli, fino ad arrivare all’individuo. Se la classe si rimpicciolisce l’individuo rimane isolato, come una monade. È stato detto, in uno di quegli studi che ho citato, cosa se ne fanno i primi della classe di essere i primi della classe in una classe di appena 15 studenti? E, di conseguenza, se i primi non hanno più lo stimolo a primeggiare, gli ultimi saranno sempre più ultimi.

La didattica a distanza ci ha aperto un nuovo mondo, o meglio ha aperto tante finestre, il docente parla e il suo discorso si rifrange in questa galleria, accompagnato da immagini e musiche. La lezione diventa sincrona, asincrona, fluida, performativa, iperattiva, esponenziale, spoilerante, transeunte, resiliente, si può registrare e riproporre come un podcast, il numero di alunni in una classe è un concetto relativo, elastico, condizionato non solo dall’abilità esecutiva del docente, ma anche dalla velocità di connessione.

La didattica a distanza, è stato ripetuto fino alla noia, non era efficace, generava angoscia e a lungo andare piaghe per via della postura. E allora facciamola dentro la classe, con gli strumenti che la tecnologia ci mette a disposizione, ci sono tanti oggetti che le aziende informatiche non sanno dove mettere e quindi li regalano alle scuole anche per avere sgravi fiscali. Creiamo la distanza dentro la presenza e viceversa, ribaltiamo gli stereotipi, diventiamo registi, accendiamo la play.

Le classi pollaio sono una proiezione della pigrizia e della cattiva coscienza di certi docenti, che coltivano un’idea statica della classe e vogliono la classetta fatta su misura, insensibili ai nuovi orizzonti dischiusi dall’intelligenza artificiale e ostinati a negare l’evidenza scientifica per cui l’apprendimento è favorito dal numero e non viceversa. Il vostro problema è che voi siete fermi a un’idea di scuola dove c’è il docente seduto alla cattedra di fronte a 30 alunni che ascoltano che a voi sembrano tanti polli, e invece è tutto diverso, siete voi i polli che non avete visto dove correva la locomotiva della scuola.

Aggiungo un cappello che può aiutare a capire il meccanismo del bipensiero. Il numero di alunni per classe è aumentato negli ultimi vent’anni in proporzione al taglio di fondi alla scuola e non al netto dell’erogazione di fondi per la digitalizzazione. Per anni ci è stato detto che è necessario razionalizzare, che abbiamo una media di alunni per docente abnorme rispetto all’Europa, un ministro citava la saggezza di sua nonna: «ci si scalda con la legna che si ha». Ora la propaganda si è raffinata. Le classi numerose non sono un ostacolo all’apprendimento, al contrario, favoriscono l’apprendimento. Il messaggio affiora per la prima volta, en passant, nel discorso di un ministro per caso, poi viene ripreso da altri pensatori, confermato da studi di scienziati cinesi, garantito da pedagogisti mai sentiti prima, rimbalzato dai giornaletti scandalistici scuola punto qualcosa. Non importa cosa si intende per apprendimento, come viene misurato, a cosa sia finalizzato. Il messaggio è efficace perché è immediato. Le classi numerose sono il bene. Le classi di pochi alunni sono il male. Ha scritto Christa Wolf: «È molto probabile che la gente veda una mela cadere a terra e creda contemporaneamente a chi afferma: non cade».