ITALO SVEVO Provi con l’autosuggestione

Lettera a Valerio Jahier, Villa Veneziani, Trieste 27 dicembre 1927

Egregio Signore, non vorrei poi averle dato un consiglio che potrebbe attenuare la speranza ch’Ella ripone nella cura che vuole intraprendere. Dio me ne guardi. Certo è ch’io non posso mentire e debbo confermarle che in un caso trattato dal Freud in persona non si ebbe alcun risultato. Per esattezza debbo aggiungere che il Freud stesso, dopo anni di cure implicanti gravi spese, congedò il paziente dichiarandolo inguaribile. Anzi io ammiro il Freud, ma quel verdetto dopo tanta vita perduta mi lasciò un’impressione disgustosa. Non voglio però assumere una responsabilità (conoscendo se stesso che somiglia a me Ella non ne sarà sorpreso) ma però non so abbandonarla senz’assumere (per le stesse ragioni Ella non ne sarà sorpreso): Perché non prova la cura dell’autosuggestione con qualche dottore della scuola di Nancy? Ella probabilmente l’avrà conosciuta per ridere. Io non ne rido. E provarla non costerebbe che la perdita di pochi giorni.
Letterariamente Freud è certo più interessante. Magari avessi fatto io una cura con lui. Il mio romanzo sarebbe risultato più intero.
E perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all’umanità quello ch’essa ha di meglio? Io credo sicuramente che il vero successo che mi ha dato la pace è consistito in questa convinzione. Noi siamo una vivente protesta contro la ridicola concezione del superuomo come ci è stata gabellata (soprattutto a noi italiani). Io rileggo la Sua lettera come lessi molte volte le precedenti. Ma rispondendo alle precedenti credevo davvero di parlare di letteratura. Invece da questa Sua ultima risulta proprio un’ansiosa speranza di guarigione. E questa deve esserci; è parte della nostra vita. Ed anche la speranza di ottenerla deve esserci. Sola la meta è oscura.
Ma intanto – con qualche dolore – spesso ci avviene di ridere dei sani. Il primo che seppe di noi è anteriore al Nietzsche: Schopenhauer, e considerò il contemplatore come un prodotto della natura, finito quanto il lottatore. Non c’è cura che valga. Se c’è differenza allora la cosa è differente: Ma se questa può scomparire per un successo (p. e. la scoperta d’essere l’uomo più umano che sia stato creato) allora si tratta proprio di quel cigno della novella di Andersen che si credeva un’anitra male riuscita perché era stato covato da un’anitra. Che guarigione quando arrivò tra i cigni!
Mi perdoni questa sfuriata in atteggiamento da superuomo. Ho paura di essere veramente guastato (guarito?) dal successo.
Ma provi l’autosuggestione. Non bisogna riderne perché è tanto semplice. Semplice è anche la guarigione cui Ella ha da arrivare. Non Le cambieranno l’intimo Suo «io». E non disperi perciò. Io dispererei se vi riuscissero.
Auguri per l’anno novello a Lei e alla gentile Sua compagna degna di lei poiché per leggere Senilità seppe sopportare l’aiuto del vocabolario.