Cosa (non) leggo

VIII
Cosa (non) ho letto nel 2023
31 dicembre 2023

Anche quest’anno non mi so decidere per «il migliore romanzo letto dell’anno» quindi vado con una cinquina: Donnarumma all’assalto di Ottiero Ottieri, che vale anche come titolo vintage, La lentezza di Milan Kundera, Noi la farem vendetta di Paolo Nori, Guerra di Louis Ferdinand Céline e Nei giorni oscuri della nostra vita di Rebecca Donner. Il saggio più saggio i Nove saggi danteschi di Jorge Luis Borges, mentre 29 luglio 1900 di Marc Abeltaro è «il migliore libro di storia letto nel 2023» se non altro perché racconta cosa è successo il 29 luglio 1900. Non mi hanno esaltato, non tanto però da cederli, La ricreazione è finita di Dario Ferrari, Più tardi nel pomeriggio di Grace Paley e Nelle terre di nessuno di Chris Offutt. Delle Relazioni pericolose di Laclos posso dire che secondo me va letto, ma non è quel capolavoro assoluto che promette la quarta di copertina.

I
[circa gennaio 2007]

Annoto una frase che ho letto a pagina 245 di Una cosa da nulla di Haddon: «I fiorai furono decisamente villani. Sì, potevano ancora farci stare il lavoro, ma a prezzi maggiorati. Katie ribatté che avrebbe comprato i suoi fiori da una persona più gentile e mise giù il telefono, al colmo di uno sdegno eccitante che non provava da un sacco di tempo, e pensò: In culo i fiori».

Haddon l’ho finito, adesso leggo Alice nel paese delle meraviglie edizione Feltrinelli con traduzione di Aldo Busi, ma ho anche quella Einaudi, è un libro che dovrebbero leggere tutti, a ogni livello di istruzione. Se penso che nessuno me l’aveva mai consigliato. Ma che dico consigliato: obbligato. Le battute dei personaggi assomigliano a tante dichiarazioni politiche che oggi si possono ascoltare nei tg. Per sopramercato mi sono letto anche Attraverso lo specchio dove ho trovato la citazione che mi aveva spinto a leggere l’una -Alice- e l’altro: «”Quando io uso una parola -ribatté Bindolo Rondolo piuttosto altezzosamente- essa significa precisamente ciò che voglio che significhi… né più né meno” “Bisognerebbe sapere -disse Alice- se voi potete dare alle parole molti significati diversi” “Bisognerebbe sapere -rispose Bindolo Rondolo- chi ha da essere il padrone… ecco tutto”».

Chiusa la partita Carroll ho letto metà di un libro di Carrére che si intitola La settimana bianca. Sul quale non mi esprimo.

Come non mi esprimo su C’era una volta un re ma morì che ritengo un libro inutile salvo (forse) la fiaba di Gioele Dix.

Così finalmente ho attaccato Stiglitz. Il titolo è La globalizzazione che funziona. Il libro ha mantenuto le sue promesse, tranne che per un po’ di fatica finale.

Trovo avvincente, ma non del tutto convincente la Trilogia della città di K. di Agota Kristof di cui ho ampiamente superato la metà dopo quattro giorni. Ci sono delle battute che sembrano dei colpi di pistola. Cose terrificanti sono raccontate al grado zero delle sensazioni e questo è buono. Però delle volte dopo aver letto cinquanta o sessanta pagine tutte di un fiato ti chiedi ma cosa ho letto? Tutta la struttura è quella delle scatole cinesi. Il macrotesto contiene tre romanzi legati tra loro da un filo. Ciascuno sviluppa una prospettiva dove si rappresenta un diverso livello di finzione.

Questa struttura non mi sembra del tutto riuscita: ogni narratore dice ora ti racconto io come sono andate veramente le cose. Alla fine tutto l’insieme perde coesione. Weir, parlando a distanza di anni di Picnic at Hanging Rock diceva Ho abituato il pubblico a non aspettarsi un finale tipo soluzione di un giallo. Ecco quello che fa Pamuk: ad un certo punto non ti importa più niente di sapere chi è l’assassino leggi solo perché sei avvolto nella magia del testo. Però questa sensazione diventa sempre più fumosa. Pamuk ti attacca un finale da action – thriller che però non c’entra niente. In sintesi La Trilogia della città di K è il libro migliore che ho letto dai tempi del Mondo nuovo di Huxley

II. Cosa [non] leggo
5 febbraio 2007

Certi libri non si leggono per paura. O perché ci sembrano troppo impegnativi. Rinviati a tempi più consoni. Occasione e paura insieme, motivaziome mista. Io i mattoni li leggo. Nel senso che un libro voluminoso non mi intimidisce. Quest’anno ho letto Pamuk, sto leggendo Stiglitz, ho letto Il complotto contro l’America di Philip Roth e mi sono comprato Pastorale americana. Mi sono fermato davanti a Infinite Jest non perché è un libro di mille pagine ma perché è scritto con il carattere piccolo che si usa normalmente nelle note. Cosa che non mi intimidisce bensì mi infastidisce. Anzi, mi manda letteralmente in bestia. Ho fatto il correttore di bozze per sei anni. Ho già dato.

Mia madre teneva un libro di questo spessore sul comodino. Mi pare Grossmann. Non David. Un giorno l’ha finito e ha proclamato: ci ho messo un anno. Suppongo che abbia detto anche uff. Io mi sono fatto durare tre mesi Il secolo breve di Hobsbawm, ma non era un romanzo sentimentale. La Storia del Terzo Reich di Shirer mi è durata un mese e mezzo. Un mese tondo per leggere Doctor Faustus di Thomas Mann. Letto quasi tutto sulla metro, Santa Maria del Soccorso Laurentina andata e ritorno. Al tempo del mio primo esame di maturità da commissario. Due mesi per L’uomo senza qualità, al secondo tentativo. Cent’anni di solitudine, citato, tre giorni per la prima lettura. Una settimana per la seconda. Questo è l’unico libro che ho letto camminando per la strada. Una settimana anche per Delitto e castigo, avevo frainteso il regolamento della biblioteca. Sei giorni per divorare Senior Service. Letti al ritmo di cinquanta sessanta pagine al giorno i primi tre volumi dell’autobiografia di Simone de Beauvoir. Centocinquanta in una sola mattinata: Il giorno del lupo di Lucarelli. Se penso che ci sono voluti circa quindici giorni a cinquanta minatori sovietici per piazzare una lastra di cemento armato sotto il nucleo di Chernobyl dopo il disastro. Mi rendo conto che la lettura non è il modo più nobile di impiegare il tempo.

Non ho mai letto Guerra e pace, Il rosso e il nero, La Certosa di Parma, Ulisse, Anna Karenina, La Recherche, Arcipelago Gulag. Quasi tutti a portata di mano. Ho letto poche pagine di Horcynus Orca per poi abbandonarlo. Non ho letto L’educazione sentimentale e neppure I miserabili. Ho abbandonato i Dialoghi con Leucò e Una vita violenta. Colleziono volumi della biografia di Mussolini di De Felice sapendo che non li leggerò mai. Non ho letto La distruzione degli ebrei d’Europa di Hillberg. Non l’ho comprato per un motivo perfettamente speculare e quindi mi riprometto di comprarlo quando avrò voglia di leggerlo. Oppure mai.

Non c’è un libro che uno non può non aver letto. Anni fa avevo appuntamento con una coppia di amici miei sotto il balcone di palazzo Venezia. Dopo un incredibile ritardo arriva Francesca da sola. Dice: Luca mi ha mollato perché non ho mai letto un libro di Sartre. A ventiquattro anni uno non può non aver letto un libro di Sartre. Luca era sceso dall’autobus ed era tornato a casa. Allora si poteva litigare per un argomento del genere. Non era una scusa, la cosa ha avuto uno strascico a una festa, pochi giorni dopo. Certo, quei due non se la passavano bene.

Per questo motivo non ho la presunzione, o l’utopia, di far leggere agli studenti libri che non leggerebbero mai se io non li obbligassi. Se volevo instillare l’odio per un classico bastava sottometterlo alla loro lettura. Sono appena reduce dalle proteste per la Metamorfosi di Kafka. Un quindicenne scrive: Non mi piace molto perché è pesante, e su questo ci posso stare, perché i personaggi sono inutilmente crudeli. E questo già mi fa riflettere. E soprattutto perché Kafka, id est, fa una tragedia di circa dieci pagine per dire che si deve girare nel letto e non ci riesce. Se dovessi dargli un voto, conclude, sarebbe un cinque. Ritenterò, ma intanto, per la prossima lettura sto pensando a qualcosa di più leggero. Qualcosa che lasci poco spazio all’immaginazione.

Con i classici me la cavo abbastanza. Non leggo libri à la page, libri di classifica o roba che puzza, da lontano tre metri, di ipercoop: non so se si possono iscrivere a questa categoria Pennac, McEwan, Yehoshua, Haddon, Richard Mason o Jonathan Frantzen. Almeno tre di questi autori mi entusiasmano o mi hanno entusiasmato. Li ho comunque letti tutti a grabdi bracciate. Sono comunque per escludere Leavitt, DeLillo e Foster Wallace. E anche Carlo Lucarelli, per cui nutro una speciale predilezione, anche se basata più che altro sul personaggio di Blu Notte. Ho letto per sbaglio due romanzi di Simona Vinci. Ho letto un romanzo di Banana. Almeno quattro di Vazquez Montalban, scusate se non metto gli accenti, tra cui, noto a margine, il bellissimo Io, Franco. Che non è tra quelli celebrati di questo scrittore.

Naturalmente non ho letto Va’ dove ti porta il cuore, di cui ho sfogliato con disprezzo le prime pagine un giorno che stavo a pranzo dai miei. Troppe. Per disapprovare un libro basta non leggerlo. E se proprio lo voglio stroncare c’è sempre il fuoco. Del milione di copie vendute me ne sbatto, così come di Melissa P. libro e film, Moccia libro e film, Vanzina, Alvaro Vitali, Commissario Montalbano, Renzo Arbore, il festival di Sanremo in tutte le sue forme, Nanni Moretti come uomo, i fratelli Muccino, Licia Colò, la nazionale italiana cantanti e quella dei calciatori, Luciano Ligabue, la Ferrari, la cicciona che fa la pubblicità della Vodafone, il caffè Kimbo. Non ascolto più un disco dei Coldplay da quando l’ho sentito sparato alla Coop. Anzi l’ho messo in macchina una mattina e mi sono reso conto che, in effetti, fa schifo.

Ho letto alcune antologie di nuovi autori italiani. L’intento era quello di farmi venire voglia di leggere uno tra, putacaso, Faletti, Dazieri, Camilleri, Governi, Galiazzo, Igliozzi, Fois. Invece ha funzionato come un vaccino. Poi ultimamente è uscita un’antologia di favole a rovescio che mi aveva riempito di speranza: C’era una volta un re ma morì. Favole a rovescio, pensavo. E invece, una sequela di puttanate.

Io non ho letto questo tuo lunghissimo messaggio, a riga 10 mi è cominciato a parere una dislessica stronzata. Ho fatto male, dici?
Vale la Pena

III. Cosa (non) ho letto nel 2018
31 dicembre 2018

Il migliore del 2018 per me è stato Sofia si veste sempre di nero di Paolo Cognetti, ma non posso fare a meno di menzionare La controfigura di Luigi Lollini, per l’impegno che l’autore, Lollo, ha profuso in questo lavoro e perché è riuscito a farmi dimenticare, leggendolo, che si tratta di una storia vera. E anche tosta. Il peggiore Cosa resta di noi di Giampaolo Simi (ma forse ho sbagliato libro). Così giocano le bestie feroci di Davide Longo e Inviata speciale di Jean Echenoz fino a tre quarti del libro. Discreto La guerra dei cafoni di Carlo D’Amicis. Importante Nel mare ci sono i coccodrilli di Fabio Geda. Il miglior saggio La società artificiale di Renato Curcio. Il miglior libro di storia Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt. In ambito scolastico La tirannia della valutazione di Angélique Del Rey. I classici recuperati Appunti partigiani di Beppe Fenoglio e Grammatica della fantasia di Gianni Rodari. Non ho letto Fiorirà l’aspidistra di George Orwell (frutto di un baratto) e gli Scritti teatrali di Bertolt Brecht. Ho letto distrattamente i Racconti londinesi di Doris Lessing, S’è fatta ora di Antonio Pascale e Promemoria di Andrea Bajani, autore che invece ho amato tantissimo. E inoltre Manzini, Malvaldi, Stassi, Mademba, Komla-Ebri, Trevi. Ho scoperto di non aver mai letto I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift di cui possiedo due copie (Garzanti e Mondadori). Ne stavo per comprare una terza (Einaudi scrittori tradotti da scrittori).

IV.  Cosa (non) ho letto nel 2019
31 dicembre 2019

Il miglior libro letto nel 2019 è stato Una cosa piccola che sta per esplodere di Paolo Cognetti insieme a Aspettando i barbari di JM Coetzee. Ma anche Un amore dell’altro mondo di Tommaso Pincio. Il saggio: Contro l’ideologia del merito di Mauro Boarelli. Il libro di storia: Storia dell’immigrazione straniera in Italia di Michele Colucci. Il giallo: uno a caso di Antonio Manzini da La costola di Adamo a 7-7-2007. Il classicone: I viaggi di Gulliver di Jonathan Swift (nell’edizione Einaudi scrittori tradotti da scrittori: mi sono sbarazzato delle altre due), letto in seconda media come se fosse un romanzo di avventure. L’autore scoperto: Louise de Vilmorin. La delusione: Sopruso di Valerio Magrelli, fastidiosamente moralista nonostante alcune battute divertenti. Il proposito per l’anno nuovo: rileggere tre romanzi di Federigo Tozzi in un’edizione decente

V. Cosa (non) ho letto nel 2020
31 dicembre 2020

Il 2020 è stato l’anno dei grandi volumi. La brutale amicizia di Deakin ha accompagnato il periodo più duro del lockdown (marzo-aprile), Infinite Jest di David Foster Wallace il periodo del lockdown a macchia di leopardo (novembre-dicembre). In mezzo alcuni mattoncini: Spillover di David Quammen, Auto da fé di Elias Canetti e Una stella incoronata di buio di Benedetta Tobagi. Il libro più corto L’ombra di Ratóc di Luigi Lollini (che ci vuole più tempo a fare l’accento acuto). La delusione: L’Italia di piazza Fontana di Davide Conti, un collage di citazioni e di note a piè di pagina, ma senza la grande architettura di Infinite Jest. La scoperta: Due o tre cose che so di sicuro di Dorothy Allison. La riscoperta: Una donna di Sibilla Aleramo. E ora vado a portare in cantina 12 libri che non leggerò più.

Post scriptum: il proposito per il 2020 era leggere tre romanzi di Federigo Tozzi in un’edizione decente. L’edizione decente è arrivata con un corriere prima del lockdown ma di romanzi non ne ho letto neanche uno.

VI
Cosa (non) ho letto nel 2021
31 dicembre 2021

Tra i libri letti nel 2021 non so decidere quale sia stato il migliore, quindi vada per una cinquina: I lanciafiamme di Rachel Kushner, Patria di Fernando Aramburu (sebbene i Baschi non sono d’accordo), Il Dottor Semmelweis di Céline e naturalmente non si tralasci di citare Sanguina ancora di Paolo Nori. Il titolo vintage Il crematorio di Vienna di Goffredo Parise. Il libro più faticoso Mare di papaveri di Amitav Ghosh. Il libro di maggior spessore Capitale e ideologia di Thomas Piketty. Il più smilzo E se smettessimo di fingere? di Jonathan Franzen. Su un libro preferirei non pronunciarmi dal momento che è finito in un secchio pieno d’acqua. Posso solo pensare, come insegna la Psicopatologia della vita quotidiana, che sia scivolato per una specie di lapsus che ha messo in pratica il secondo principio di Pennac che riguarda il diritto di smettere di leggere un libro quando non si ha più voglia di leggerlo. Ripensandoci anche Il vento selvaggio che passa di Richard Yates. potrebbe far parte della cinquina. E manca la «scoperta». Nel 2021 ho scoperto Samanta Schweblin, ma non mi ha convinto del tutto.

VII
Cosa (non) ho letto nel 2022
31 dicembre 2022

Nel 2022 ho riletto 1984, per la precisione ho riletto le parti che avevo già letto e ho letto per la prima volta le parti che nella mia edizione mancavano (un fascicolo su quattro si ripeteva, allora mi sarà sembrato un sollievo). Quindi, sono costretto a scrivere che il miglior libro del 2022, a prescindere da 1984, è stato Il valzer degli addii di Milan Kundera. Avevo pensato di prendere Stalingrado per il covid e l’ho guardato con una certa voluttà in una coop dell’Isola d’Elba il giorno che sentivo che saliva. E invece mi sono fatto il covid con Gerschenkron che aspettava da anni e appena sono uscito sono andato di corsa a prendere Kundera e subito dopo Noi però gli abbiamo fatto le strade di Francesco Filippi sul colonialismo italiano e la mentalità, una cosa sempre attuale, riguardo alla mentalità. Tra gli altri Revolutionary Road di Yates e Trash di Dorothy Allison hanno ripagato le attese, Tre piani di Eshkol Nevo è meglio del film di Nanni Moretti.