Ascensore

Negli edifici come quello di Eva, nel 2017 resisteva ancora un’antiquata formalità. L’ascensore aveva i comandi manuali; l’interno era rivestito da pannelli di quercia con figure araldiche e un fregio con una scena silvestre: uccelli, cani e donne con lunghe vesti. Accanto alla pulsantiera c’era un sedile ribaltabile, sempre di quercia, che aveva la forma e le dimensioni del coperchio di un water, su cui Frank, l’addetto ai comandi, si riposava nei rari momenti in cui i suoi servigi non erano richiesti. Qualche mese prima i condomini avevano votato per sostituire quel vecchio ascensore con uno automatico. Allora Eva aveva confidato a Jake di essere preoccupata per Frank, che aveva fatto per tutta la vita un mestiere (girare la manovella per far partire l’ascensore, rallentarlo mentre arrivava a destinazione, fermarlo nel punto esatto in cui le porte interne si allineavano con quelle esterne), e chissà come avrebbe reagito una volta che il suo compito si fosse ridotto a premere un bottone che il passeggero avrebbe potuto benissimo schiacciare da sé. «Come ci si deve sentire quando si viene praticamente trasformati in un simbolo?» aveva domandato Eva, e Jake aveva risposto che era meglio diventare un simbolo che restare senza lavoro.

David Leavitt, Il decoro