Alcuni giorni fa, davanti a una pizza (amatriciana), è nata una discussione tra me e un vecchio comunista che per simpatia chiamerò Jean-Jacques. Lui dice che l’anarchia non è compatibile con lo statalismo. Osservo che non mi aspetto di ricevere la tessera di anarchico. D’altra parte ci sono tante forme di anarchia quanti sono gli anarchici. Un anarchico all’inizio del Novecento (in «Perché gli anarchici non votano») afferma il rifiuto del parlamentarismo notando tra le altre cose che in una riunione di 5 anarchici scoppia ogni giorno una rissa. E si chiede giustamente: cosa può uscire da una camera con 500 teste. Pensanti, supponendo. J-J dice che non è lui a distribuire le tessere bensì il vocabolario. Sono costretto quindi ad argomentare: primo lo Stato è migliore di tutte le alternative possibili (non utopiche o fuori contesto): la scuola privata, la descolarizzazione, l’home schooling (la peggiore di tutte). E questo già basterebbe. Secondo ci si deve intendere sullo Stato. Intanto che realizziamo l’anarchia e la fine dello Stato svuotiamo la scuola statale, che è anche pubblica, e quindi comune, di tutto il burocratismo, l’autoritarismo, il decisionismo il marketing, la tecnocrazia, l’inutile ora di educazione civica.
Anarcostatalismo