«Trickle Down», 21 ottobre 2023
«Buffo che la maggior parte di questi giovani non abbia mai visto un telefono a disco», disse, guardando lo schermo. «Qualche volta mi manca, il piacere tattile di infilare il dito nel buco, far girare la rotella fino alla fine, poi lasciarla andare».
Da David Leavitt, Decoro
In un compito di italiano sul valore dell’attesa leggo: «È un dato di fatto che la società contemporanea è depressa». Gabriele scrive piuttosto che innervosirsi nell’attesa di una risposta a un messaggio molto meglio andare nei boschi a guardare gli animali selvaggi. Per Valentina invece questa storia di aspettare è più snervante di andare a zappare la terra sette giorni su sette (era un’iperbole, prof). In generale l’attesa di una risposta su whatsapp dopo che si è accesa la punta evoca impazienza, ma anche impotenza, frustrazione, rancore, terrore, malcontento e noia. Prima no, non c’era questa frenesia, se uno arrivava in ritardo a un appuntamento non suscitava questo malumore. Annoto a margine: questo lo dici tu.
I nostri genitori (ma una ha scritto i nostri antenati), che tra l’altro siamo noi, non disponevano di questi mezzi. Per comunicare avevano le lettere, che impiegavano un sacco di tempo ad arrivare (è vero), se arrivavano. E quando arrivavano bisognava aprirle, mentre i messaggi di whatsapp appaiono sul display del telefonino, aggiungo, e possono essere visualizzati senza essere visualizzati. Siete completamente fuori strada annoto a margine di un compito: intanto, tra le lettere e gli sms, o whatsapp, c’è il telefono. Il telefono fisso? chiede un po’ schifato Valerio. Effettivamente a guardarlo oggi sembra un oggetto di antiquariato, anche i modelli più moderni, quelli che ci sembravano all’avanguardia. È difficile spiegare ai giovani d’oggi che quell’aggeggio poteva essere uno strumento di tortura peggiore del display del telefonino. Siccome vedo che sono turbati provo a metterla così: con il telefono fisso si potevano fare gli scherzi al telefono. Per esempio a mezzanotte chiamavi un numero e chiedevi di parlare con Gaia. Che ovviamente non abitava in quella casa. Dopo dieci minuti un altro e dopo altri dieci minuti un altro. E dopo un po’ chiamava Gaia e chiedeva, con una voce delicata, se qualcuno l’aveva cercata. Cosa c’entra con l’attesa? Poco, mi rendo conto. C’entra con il fatto che i mezzi di oggi non permettono di fare scherzi di questo tipo perché tutto è tracciato, nemmeno ti fanno venire la fantasia. È più facile immaginare di avere voglia di andare in un bosco a cercare di vedere degli animali selvaggi.
C’è un’altra obiezione, tecnicamente anche più valida: quando avevi scritto una lettera e la imbucavi ti sentivi leggero. Questa sensazione durava per alcuni giorni. Facciamo una settimana ad andare, tre giorni per la stesura della risposta, un’altra settimana per tornare. Dopo due settimane ogni giorno poteva essere quello buono. Ora io vorrei sapere che cosa hanno di tanto importante le risposte a messaggi che riguardano situazioni che nella migliore delle ipotesi si bruciano nelle successive due ore. Rivedo la lettera di Claire, l’amica belga conosciuta l’estate precedente, con il mio indirizzo scritto tutto tondo, sul tavolo, chiusa, per prolungare il piacere dell’attesa. È questo, forse, il punto. Tutti dicono che noi non avevamo Internet. Nessuno sa quanto fosse lento internet all’inizio. Quando ha cominciato ad andare più spedito, venivano a casa a proporti delle connessioni superveloci: la mitica, già superata, addiesselle. A uno gli ho detto: a me piace la lentezza. Ha fatto una faccia che voleva dire: questo qui è matto ma, soprattutto, non mi far perdere tempo, e se n’è andato. La velocità è il medium. E il medium è il messaggio.