Lanzichenecchi

Odio i lanzichenecchi che per due ore snocciolano la formazione ideale dell’Inter con un tono da stadio, non ho pietà del troglodita avvaccato al mio posto che mi costringe a cercarmene un altro, però più di tutti odio i gentiluomini impomatati con il sole 24 ore spiegato davanti (con o senza camicia di lino) che per tutto il tempo gracchiano al telefono dei loro importanti affari e impediscono a me, che non ho parenti proprietari di giornali, di leggere il mio libro (Carlo Ginzburg, Il giudice e lo storico, Einaudi, Torino 1991).

Tra i tanti commenti che ho letto su questo caso, alcuni anche in difesa dell’autore dell’articolo (il tono medio è: il mio amico Alain, di cui non avete capito l’autoironia, che infatti non c’era, o anche: e allora la Murgia?) del gentiluomo con la camicia di lino (blu), che peraltro cita a sproposito Proust (notato da pochissimi), mi piace citare il tweet di Riccardo Cucchi: «Quando vedi #lanzichenecchi anziché persone vuol dire che il tuo mondo è lontano da quello reale. E non c’è Proust o Financial Times che saranno in grado di spiegartelo, quel mondo. Finché non ti sporcherai un po’ il vestito leggero e ci camminerai dentro». Dubbio: se i lanzichenecchi non erano persone, che cavolo erano?