Da «Una scuola per il futuro», Milano 2021, pp. 98-100
In ogni modo la generale constatazione della natura salvifica dell’informatica e di Internet ha galvanizzato i tanti zelatori della scuola in rete, scuola 2.0 proiettata magari fino a 4.0: pronti a definire impostazioni, metodi, regole per la didattica a distanza, che subito ha acquisito la sua inevitabile sigla, DAD. La situazione di necessità ha rilanciato le tante voci che negli anni recenti avevano propagandato la didattica digitale; e se ne è tratto spunto per suggerire nuove direttive e auspicare proposte vincolanti per il futuro dell’insegnamento. In molti casi si è giunti a vagheggiare, anche per l’auspicato ritorno a scuola, una definitiva alterazione del ruolo dell’insegnante, destinato ad avvalersi di una didattica affidata a pillole audio-visive, a materiali da pescare sulla rete – e quindi più vicino alle nuove sensibilità degli allievi, che ormai sono tutti nativi digitali -: si è detto che un docente all’altezza dei nuovi tempi non dovrebbe prendere di essere un ‘maestro’, ma porsi piuttosto come un consulente e facilitatore del lavoro dei ragazzi, orientandolo a partire da quelle pillole, stimolando il loro lato creativo, il loro agire (‘learning by doing’) sui contenuti elaborati dalle apposite agenzie formative, con l’avallo del ministero. Quella che era necessità è stata sbandierata come modello per il presente e per il futuro, con la riproposizione di tutte le zuppe pedagogistiche che da decenni gravano la scuola. Senza nemmeno rendersi conto del fatto che lo stesso uso salvifico che l’informatica ha assunto nel periodo della chiusura ci ha ridotti a inquadrare tutti i contatti della nostra vita e tutti gli sviluppi della nostra cultura entro format precostituiti, elaborati dai grandi gruppi multinazionali.
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Grazie al digitale si potrà anche giungere ad alleggerire o eliminare i confini disciplinari, rompere il peso costrittivo dei programmi e i limiti della classe, in modo che ogni studente possa costruire la propria cultura da sé, secondo le proprie motivazioni, prendendo dalla rete ciò che va incontro al proprio interesse precostituito, materiali ben confezionati, per confrontarli con docenti ridotti a ricucitori di pillole informatiche, meglio se senza libri di testo, ecc.
Questo fervore programmatico proiettato verso il radioso futuro digitale ha però dovuto fare i conti con il malessere che la forzata chiusura, con le falle che, DAD o non DAD, essa ha aperto nella vita e nella cultura delle giovani generazioni. Anche chi non se ne era mai preso cura, ha cominciato a rendersi conto dell’importanza della scuola nell’articolazione stessa della vita quotidiana e nella sua proiezione verso il futuro. Si sono presto sentiti accorati inviti a un più forte impegno politico e a sostanziosi investimenti per la scuola […], si sono moltiplicati propositi e perorazioni per la scuola del futuro, magari col solito richiamo a ulteriori riforme, come se non fosse ancora chiaro che i vari parziali e confusi interventi riformistici o normativi degli ultimi decenni non abbiano fatto altro che contribuire a uno sfaldamento della scuola stessa, dei suoi contenuti formativi e della sua destinazione sociale”.