FRANCESCO PETRARCA L’accidia

Da «Secretum», libro II

Agostino: Ti domina una funesta malattia dell’animo, che i moderni hanno chiamato accidia e gli antichi aegritudo.
Francesco: II nome solo di essa mi fa inorridire.
Agostino: Non me ne meraviglio, poiché ne sei tormentato a lungo e gravemente.
Francesco: È vero; e a ciò s’aggiunge che mentre in tutte quante le passioni da cui sono oppresso è commisto un che di dolcezza, sia pur falsa, in questa tristezza invece tutto è aspro, doloroso e orrendo; e c’è aperta sempre la via alla disperazione e a tutto ciò che sospinge le anime infelici alla rovina. Aggiungi che delle altre passioni soffro tanto frequenti quanto brevi e momentanei gli assalti; questo male invece mi prende talvolta così tenacemente, da tormentarmi nelle sue strette giorno e notte; e allora la mia giornata non ha più per me luce né vita, ma è come notte d’inferno e acerbissima morte. E tanto di lagrime e di dolori mi pasco con non so quale atra voluttà, che a malincuore (e questo si può ben dire il supremo colmo delle miserie!) me ne stacco.
Agostino: Conosci benissimo il tuo male; tosto ne conoscerai la cagione. Di’ dunque: che è che ti contrista tanto? il trascorrere dei beni temporali, o i dolori fisici o qualche offesa della troppo avversa fortuna?
Francesco: Un solo qualsiasi di questi motivi non sarebbe per sé abbastanza valido. Se fossi messo alla prova in un cimento singolo, resisterei certamente; ma ora sono travolto da tutto un loro esercito.
Agostino: Spiega più particolarmente ciò che ti assale.
Francesco: Ogni volta che mi è inferta qualche ferita dalla fortuna, resisto impavido, ricordando che spesso, benché da essa gravemente colpito, ne uscii vincitore. Se tosto essa raddoppia il colpo, comincio un poco a vacillare; che se alle due percosse ne succedono una terza e una quarta, allora sono costretto a ritirarmi – non già con fuga precipitosa ma passo passo – nella rocca della ragione. Ivi, se avviene che la fortuna mi si accanisca intorno con tutta la sua schiera, e mi lanci addosso per espugnarmi le miserie della umana condizione e la memoria dei passati affanni e il timore dei venturi, allora finalmente, battuto da ogni parte e atterrito dalla congerie di tanti mali, levo lamenti. Di lì sorge quel mio grave dolore: come ad uno che sia circondato da innumerevoli nemici e a cui non si apra alcuno scampo né alcuna speranza di clemenza né alcun conforto, ma ogni cosa lo minacci. Ecco, le macchine sono drizzate, sotto terra i cunicoli sono scavati, già oscillano le torri; le scale sono appoggiate ai bastioni; s’agganciano i ponti alle mura; il fuoco percorre le palizzate. Vedendo d’ogni parte balenare le spade e minacciosi i volti nemici, e prevedendo prossimo l’eccidio, non paventerà esso e non piangerà, posto che, se anche cessino questi pericoli, già solo la perdita della libertà è dolorosissima agli uomini fieri?
Agostino: Benché tu abbia trascorso su tutto ciò un poco confusamente, pure capisco che la causa di tutti i tuoi mali è un’impressione sbagliata che già prostrò e prostrerà infiniti altri. Giudichi tu di star male?
Francesco: Anzi, pessimamente.
Agostino: Per qual ragione?
Francesco: Non per una, certo, ma per infinite.
Agostino: Tu fai come quelli che per qualsiasi anche lievissima offesa tornano al ricordo dei vecchi contrasti.
Francesco: Non è in me piaga così antica che abbia ad essere cancellata dalla dimenticanza; le cose che mi tormentano sono tutte recenti. E ancor che col tempo qualche cosa si fosse potuta sanare, la fortuna torna così spesso a percuotere in quel punto, che nessuna cicatrice può mai saldare l’aperta piaga. Aggiungi l’aborrimento e il disprezzo dello stato umano; da tutte queste cagioni oppresso, non mi riesce di non essere tristissimo. Non do importanza che questa si chiami o aegritudo o accidia o come altrimenti vuoi. Siamo d’accordo sulla sostanza.
Agostino: Poiché, a quanto veggo, il male ti si è abbarbicato con profonde radici, non basterà averlo tolto via alla superficie, che rispunterebbe rapidamente: bisogna strapparlo radicalmente; ma sto incerto donde incominciare, tante sono le cose che mi trattengono. Ma per agevolare l’effetto dell’opera col ben precisare, percorrerò ogni singolo particolare. Dimmi dunque: quale cosa ritieni per te precipuamente molesta?
Francesco: Tutto quanto primamente vedo, odo ed intendo.
Agostino: Perbacco, non ti piace nulla di nulla.
Francesco: O nulla o proprio poche cose.
Agostino: Speriamo almeno che ti piaccia ciò che è salutare! Ma che ti spiace di più? Rispondimi per favore.
Francesco: Ti ho già risposto.
Agostino: Tutto ciò è caratteristico di quella che ho chiamata accidia. Tutte le cose tue ti spiacciono