LUCIO MASTRONARDI La scuola palestra di vizio

Da La sigaretta, in «L’assicuratore»

Non è che ami molto il mio lavoro, però ci tengo, e tanto, alla stima. Voglio essere stimato sia dai superiori che dalle famiglie. Ho visto che tutti quelli che campano su di un magro stipendio, hanno l’ossessione della stima. I maestri, della stima, ne fanno un culto.
Avere la stima dalle famiglie non è difficile: basta dargli la media alta di voti sulla pagella. La stima è in proporzione ai voti che si danno. E avere la forza di ascoltare i genitori che raccontano i misfatti e le prodezze dei loro bambini, senza sbadigliargli davanti. Io sono stimatissimo.
Più difficile è ottenere la stima dai superiori. La mia direttrice in quanto a stima è avara. Io faccio del mio meglio per conquistarmela. Arrivo a scuola in anticipo. Scatto sull’attenti quando la incontro. Partecipo ai cenacoli pedagogici. Se da Roma arriva qualche direttore centrale a tenere conferenze, io non solo ascolto quella che tiene a Vigevano, ma anche quelle che tiene nei paesi vicini, e l’ascolto con attenzione, anche se è la decima volta che sento ripetere le stesse cose, e infine gli batto calorosamente le mani. Se dice qualche spiritosaggine rido di gusto, anche se è la decima volta che la sento ripetere. Non partecipo a nessuno sciopero; so che lo sciopero dispiace ai superiori. Quando viene il prete a fare la lezioncina di religione, non vado nel corridoio, sto in classe, anche se la mia presenza impaccia il prete e la sua lezione. E il registro lo scrivo addirittura in cancelleresco.
La direttrice non vuole che si fumi in classe. Il fumare è un vizio; la scuola deve essere palestra di virtù.
– Guai ai vizi! grida quando sorprende qualche maestro che fuma.
Quando in classe accendo una sigaretta, vivo la mia avventura come se fossi seduto su di una mina. Guardo inquieto la porta, col terrore che lei entri. Per tutta la sigaretta è uno spasimo; ma è una grande soddisfazione quando getto il mozzicone dalla finestra: una soddisfazione fisiologica. Lascio la finestra aperta il tempo che l’aria si cambi, quindi la richiudo e ne accendo un’altra. Finora mi è sempre andata bene: la direttrice veniva, o quando avevo finito e l’aria era cambiata, oppure prima che cominciassi.
Una mattina, mentre i bambini svolgevano il tema: «Perché devo essere serio», io me ne stavo davanti all’uscio, fumando, e pensavo: se in questo momento entrasse la direttrice, cosa farei? Dove posso nascondere la sigaretta?…
Mi guardavo d’attorno col piacere dell’incoscienza. Tirando e gettando voluttuose boccate ero arrivato al mozzicone. E poi fino allo scottadito. Tenendolo sospeso stavo andando alla finestra. Dietro sento la voce della direttrice: – Chi è che fuma qui dentro?
– Il signor maestro! rispose il mio più stimato scolaro. Prima che mi accorgessi, con mossa istintiva, avevo nascosto il mozzicone nel taschino della giacca.
– La scuola palestra di vizio! gridò la direttrice. Io stavo sull’attenti davanti a lei, che mi guardava da brutto come mia suocera.
Scoppiò a ridere.
– La giacca! disse fra i singhiozzi. La scolaresca era in un silenzio di spettacolo. Levai il mozzicone scottandomi la mano: un piccolo foro risaltava sulla stoffa bruciacchiata. La direttrice tornò seria.
– Signor maestro, gridò, fumare è una limitazione d’autorità. Se proprio non ne può più, vada a fumare al gabinetto!