Da «Le ragazze»
Non appena mi cadde l’occhio sulle ragazze che attraversavano il parco, la mia attenzione restò fissa su di loro. Quella dai capelli neri con le sue accompagnatrici, la loro risata un rimprovero alla mia solitudine. Stavo aspettando che succedesse qualcosa, senza sapere cosa. E poi ecco. Fu un attimo, ma lo vidi lo stesso: la ragazza dai capelli neri si tirò giù lo scollo del vestito per un istante, scoprendo il capezzolo rosso del suo seno nudo. Nel bel mezzo di un parco brulicante di persone. Prima che riuscissi del tutto a crederci, tornò a coprirsi. Stavano tutte ridendo, provocanti e spensierate: nessuna di loro alzò anche solo gli occhi per vedere se qualcuno le guardava.
Le ragazze si spostarono sul viottolo che costeggiava il ristorante, superando la zona barbecue. Con andatura esperta e fluida, Io non distolsi lo sguardo. La più grande sollevò il coperchio di un cassonetto. La rossa si chinò a terra e quella dai capelli neri usò il suo ginocchio come scalino, issandosi oltre il bordo del cassonetto. Stava cercando qualcosa all’interno, ma non sapevo immaginare cosa. Mi alzai per buttare i miei tovaglioli di carta e mi fermai accanto al bidone dell’immondizia, fissandole. La mora stava tirando fuori cose dal cassonetto e passandole alle altre: una confezione di pane, ancora intatta, un cavolo dall’aria anemica che annusarono e ributtarono dentro. La procedura sembrava ben collaudata: l’avrebbero mangiata veramente, quella roba? Quando la mora riemerse per l’ultima volta, scavalcando il bordo del cassonetto e saltando a terra, aveva qualcosa in mano. Era un oggetto di forma strana, del colore della mia pelle, e mi avvicinai un po’,
Appena mi resi conto che era un pollo crudo, avvolto nel cellophane, devo averle fissate ancora più intensamente, perché la mora si voltò e se ne accorse. Sorrise e io ebbi un tuffo allo stomaco. Sembrò che fra noi passasse qualcosa, che ci fosse un lieve assestamento nell’aria. Il modo sicuro, sincero, con cui mi guardò negli occhi. Ma tornò di colpo in sé quando la porta di servizio del ristorante si spalancò all’improvviso. Ne uscì un uomo corpulento, che già gridava. Le scacciò come fossero cani. Le ragazze presero il sacchetto di pane e il pollo e scapparono di corsa. L’uomo si fermò un attimo a guardarle. Asciugandosi le manone sul grembiule, col petto che si alzava e si abbassava per lo sforzo.
Ormai le ragazze erano a un isolato di distanza, coi capelli che gli svolazzavano dietro come bandiere, e uno scuolabus nero passò lentamente e si fermò, e tutte e tre vi si infilarono dentro.
La loro vista; l’oscenità fetale del pollo, la fragola di quell’unico capezzolo. Era stato tutto così sfacciato, e forse era per questo che continuavo a pensarci. Non riuscivo a fare due più due. Perché quelle ragazze dovevano cercare da mangiare nel cassonetto. Chi c’era alla guida dello scuolabus, che razza di gente lo poteva dipingere di quel colore. Avevo capito che si volevano bene, le ragazze, che avevano creato un legame familiare: erano sicure di ciò che rappresentavano insieme. La lunga serata che mi si stendeva davanti, con mia madre fuori insieme a Sal, tutt’a un tratto mi sembrava intollerabile.