Secondo le direttive dell’8 maggio 1945 del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia, per essere definito «partigiano combattente» bisogna avere partecipato ad almeno tre scontri a fuoco, militato con costanza in una formazione, essere «rimasti in prigione per oltre tre mesi dopo una cattura per attività legate alla lotta partigiana», o aver riportato ferite in combattimento.
Carlo Greppi, Uomini in grigio
Il nome partigiani, subito popolare, incontrò […] qualche difficoltà a essere recepito ad alto livello; e ufficialmente non lo fu mai, dato che gli fu preferito quello, nobilissimo ma un po’ freddo, di «volontari della libertà» […]. C’era nella parola partigiano un remoto significato di difesa della propria terra, a partire dalla guerra di indipendenza degli spagnoli contro Napoleone; ma c’era anche qualcosa di rosso – «à l’appel du grand Lénine se levaient les partisans» – che ne esaltava la componente aggressiva e irregolare, e che destava diffidenza tra i benpensanti.
Claudio Pavone, Una guerra civile
Mentre nei primissimi tempi la gente ci chiamava «ribelli», e poi anche «patrioti», ora ci chiamava «partigiani» […]. L’abbandono del termine «ribelli» rispecchiava il fatto che ormai s’eran superati i limiti di un fenomeno puramente poliziesco; e la preferenza accordata al termine «partigiani» (carico d’un senso politico, popolare e rivoluzionario), rispetto a quello «patrioti» (d’intonazione alquanto retorica e nazionalistica, e comunque equivoco, poiché usato anche dai fascisti), segnava una tappa nel progresso della guerra partigiana: nel senso appunto d’un consolidamento e d’una definitiva conferma della impostazione politica.
Dante Livio Bianco, Guerra partigiana