«Satyricon», 111-2
Eravi in Efeso una matrona famosa assai per la sua pudicizia, che anche dai paesi vicini richiamava le donne ad ammirarla. Poiché dunque le accadde di sotterrare il marito, quella non si limitò, come tutte fanno, a seguire il funerale coi capelli sparsi, o a battersi il petto nudo in mezzo alla folla, ma pure nel sepolcro accompagnò il defunto, e, una volta che il cadavere, secondo il costume dei Greci, fu deposto nella cripta, ella rimase notte e giorno a vegliarlo ed a piangerlo. Accorata com’era e decisa a morir di fame, non i genitori riuscirono a condurla via, non i parenti: i magistrati alla fine se ne andarono con un rifiuto, e quella donna unica al mondo, da tutti lagrimata, erano ormai cinque giorni che passava senza cibo. Vicino alla poverina v’era un’ancella fedele, che mescolava a quel pianto le sue lagrime, e stava insieme attenta, ogni volta che si indeboliva, a ravvivare il lume collocato nella tomba. Perciò dovunque in città non si parlava d’altro: riconoscevano tutti, senza distinzione di classi, che mai si era vista nella realtà una prova così lampante di pudicizia e di amore. Ora ecco che il governatore della provincia fece crocifiggere dei ladroni nei pressi di quell’edicola dove la matrona stava piangendo il cadavere di fresca data. Fu così che un soldato la notte dopo, mentre stava di guardia alle croci, che nessuno tirasse giù qualche cadavere per dargli sepoltura, avendo notato tra le tombe un lume che vivo splendeva e percepito un gemito accorato, com’è dell’umana natura, volle sapere chi fosse o che faceva. Discese dunque nel sepolcro, e, quando vide la bellissima donna, sulle prime si fermò interdetto, come davanti a un fantasma o a un’apparizione infernale. Ma poi, appena distinse il cadavere lì disteso, e a tutte quelle lagrime pose mente e a quel volto straziato dalle unghie, resosi facilmente conto della situazione, che la donna non riusciva a sopportare la perdita del defunto, portò nella tomba la sua cenetta, e prese a dire alla lagrimosa di non persistere in un vano dolore e di non rompersi il petto con gemiti inutili, che una per tutti è la fine ed una la dimora, e tante altre core che riportano la pace nei cuori esulcerati. Ma quella, ferita dall’assurdo tentativo di consolazione, si lacerava il petto con più impegno e a ciocche deponeva i capelli sul cadavere lì disteso. Tuttavia il soldato non batté in ritirata, ma con la stessa insistenza cercava di far prendere cibo alla povera donna, sin quando l’ancella, sedotta dal profumo come di nettare del vino, sporse dapprima lei sola e quasi per forza la mano all’invito gentile, e quindi, rianimata dalla bevanda e dal cibo, mosse a espugnare l’ostinazione della padrona, e «Che vantaggio ne avrai, — diceva, — se ti lasci morir di fame, se ti seppellisci viva, se spiri innocente prima che t’appellino i fati?
Credi che questo avvertano le ceneri e i mani sepolti?
Non vuoi tornare a vivere? Non vuoi, cacciati questi pregiudizi da donnetta, goderti le gioie della luce per quanto è possibile? Proprio ii cadavere qui disteso dovrebbe convincerti a vivere». Nessuno ubbidisce di mala voglia, se lo si costringe a mangiare o a vivere. Così la donna, estenuata da alcuni giorni di digiuno, lasciò che venisse infranta la sua resistenza, né a rimpinzarsi di cibo fu da meno dell’ancella, che era stata la prima ad arrendersi.
Per altro sapete a che razza di tentazioni vanno soggetti di solito gli uomini a stomaco pieno. Servendosi delle medesime blandizie con cui aveva ottenuto dalla matrona che accettasse di vivere, il soldato mosse pure all’assalto della di lei pudicizia. E a lei, la casta, non pareva il giovanotto né brutto né impacciato, tanto più che l’ancella cercava di renderglielo simpatico e andava ripetendo:
«Pur grato un amore respingi? Ne pensi a chi appartengono le terre che hai scelto a dimora?».
Non sto a farla lunga. La donna non tenne a digiuno nemmeno questa parte del corpo e il soldato vincitore la persuase in un senso e nell’altro. Giacquero dunque insieme non solo quella notte, che fu come di nozze, ma anche il giorno seguente ed un terzo, sprangate, si capisce, le porte del sepolcro, che chiunque, familiare od estraneo, si fosse avvicinato alla tomba, avrebbe creduto che quella moglie così pudica era spirata sul cadavere del marito.
Il soldato intanto, compiaciuto della bellezza della donna e di quell’aura di mistero, acquistava tutto ciò che di buono gli permettevano i suoi mezzi e non appena scendeva la notte lo portava nella tomba. E così i parenti di uno dei crocifissi, come videro allentata la sorveglianza, una notte tirarono giù il loro penduto e lo sistemarono con gli ultimi onori. Ma il soldato, che, per darsi bel tempo, si era lasciato abbindolare, come vide il giorno dopo che una delle croci era senza cadavere, temendo il supplizio, espose alla donna l’accaduto: che egli non sarebbe rimasto in attesa della sentenza del giudice, ma con la spada avrebbe fatto giustizia della sua debolezza, per cui lei al morituro preparasse un loculo e rinchiudesse in quel sepolcro fatale l’amico e il marito. La donna, non meno pietosa che pudica, «Dio non voglia — esclamò — che dei due uomini più cari che ho avuto io assista ad un tempo ai due funerali! Preferisco appendere un morto che uccidere un vivo». Pronunziate queste parole, dà ordine che si tolga dalla bara il cadavere del marito e lo si inchiodi sulla croce rimasta libera. Il soldato fece sua la trovata di quella donna così saggia, e il giorno dopo la gente era lì a chiedersi in che modo il morto fosse salito sulla croce.
Traduzione di Vincenzo Ciaffi
Matrona quaedam Ephesi tam notae erat pudicitiae, ut vicinarum quoque gentium feminas ad spectaculum sui evocaret. Haec ergo cum virum extulisset, non contenta vulgari more funus passis prosequi crinibus aut nudatum pectus in conspectu frequentiae plangere, in conditorium etiam prosecuta est defunctum, positumque in hypogaeo Graeco more corpus custodire ac flere totis noctibus diebusque coepit. Sic adflictantem se ac mortem inedia persequentem non parentes potuerunt abducere, non propinqui; magistratus ultimo repulsi abierunt, complorataque singularis exempli femina ab omnibus quintum iam diem sine alimento trahebat. Adsidebat aegrae fidissima ancilla, simulque et lacrimas commodabat lugenti, et quotienscumque defecerat positum in monumento lumen renovabat. “Una igitur in tota civitate fabula erat: solum illud adfulsisse verum pudicitiae amorisque exemplum omnis ordinis homines confitebantur, cum interim imperator provinciae latrones iussit crucibus affigi secundum illam casulam, in qua recens cadaver matrona deflebat.
Proxima ergo nocte, cum miles, qui cruces asservabat, ne quis ad sepulturam corpus detraheret, notasset sibi lumen inter monumenta clarius fulgens et gemitum lugentis audisset, vitio gentis humanae concupiit scire quis aut quid faceret. Descendit igitur in conditorium, visaque pulcherrima muliere, primo quasi quodam monstro infernisque imaginibus turbatus substitit; deinde ut et corpus iacentis conspexit et lacrimas consideravit faciemque unguibus sectam, ratus (scilicet id quod erat) desiderium extincti non posse feminam pati, attulit in monumentum cenulam suam, coepitque hortari lugentem ne perseveraret in dolore supervacuo, ac nihil profuturo gemitu pectus diduceret: ‘omnium eumdem esse exitum et idem domicilium’ et cetera quibus exulceratae mentes ad sanitatem revocantur.
At illa ignota consolatione percussa laceravit vehementius pectus, ruptosque crines super corpus iacentis imposuit. Non recessit tamen miles, sed eadem exhortatione temptavit dare mulierculae cibum, donec ancilla, vini odore corrupta, primum ipsa porrexit ad humanitatem invitantis victam manum, deinde retecta potione et cibo expugnare dominae pertinaciam coepit et: ‘Quid proderit, inquit, hoc tibi, si soluta inedia fueris, si te vivam sepelieris, si antequam fata poscant indemnatum spiritum effuderis? Id cinerem aut manes credis sentire sepultos? Vis tu reviviscere! Vis discusso muliebri errore! Quam diu licuerit, lucis commodis frui! Ipsum te iacentis corpus admonere debet ut vivas.’ “Nemo invitus audit, cum cogitur aut cibum sumere aut vivere. Itaque mulier aliquot dierum abstinentia sicca passa est frangi pertinaciam suam, nec minus avide replevit se cibo quam ancilla, quae prior victa est.