GUIDO VIALE Educare all’affettività

[Comune-info, 23 novembre 2023]

È del tutto evidente che il moltiplicarsi dei femminicidi in Italia è un effetto non del patriarcato in quanto tale, ma del suo indebolimento, del venir meno delle condizioni che lo rendevano “normale”. Questo in tutto l’Occidente e anche in tutte quelle regioni, come l’Iran, arbitrariamente annesse a “un’Europa fuori dall’Europa”, senza tener conto di quanto le recenti guerre promosse o scatenate dall’Occidente abbiano rimesso il velo, e anche di più, in testa alle donne che se lo erano già tolto, come in Afghanistan, in Iraq, in Siria, in Libia. Che alla radice ci sia non il patriarcato ma un suo indebolimento è comunque un punto per lo più condiviso dai commentatori, tranne poi ricavarne l’equazione, come sembra fare Marcello Veneziani su La Verità del 22.11: meno patriarcato, più femminicidi; dunque, più patriarcato per avere meno femminicidi.

Ma che fare allora per porre argine a questa alluvione di ferocia mirata? Il Governo sembra avere una risposta, anche se ci ha messo un anno per portarla avanti: introdurre l’educazione all’affettività (o al rispetto e alla dignità della donna: così Antonio Tajani, vicepresidente del consiglio e presidente del partito che fu di Berlusconi) dedicando in ogni scuola delle ore di lezioni sul tema, curricolari e non; ma la risposta del Pd non sembra differente; tranne poi dividersi tra destra e sinistra, almeno si spera, sulla scelta della figura che dovrà presiedere all’introduzione di questa novità scolastica. Il ministro dell’istruzione e del merito (autore del libro L’impero romano distrutto dagli immigrati) ha scelto il suo amico e collaboratore Alessandro Amadori, coautore del libro La guerra dei sessi, in cui si imputa alla cattiveria di (alcune) donne l’esito infausto di molta della violenza che le colpisce.

Ma l’introduzione di una nuova “materia” e delle relative ore da dedicarle è la stessa risposta che si dà o si è data all’emergere della crisi ambientale (prima nessuno se ne occupava): altre ore; o alla crisi della convivenza, detta violenza di strada, con l’educazione civica: altre ore ancora. Già, ma chi le insegnerà queste nuove materie? Anche solo fermandosi all’affettività: una psicologa, una sessuologa, un medico, una biologa, una filosofa, un giornalista, una zelatrice ecclesiastica, un poeta? O tutte quante/quanti insieme? E chi sceglierà queste figure? Alessandro Amadori? Oppure a insegnarla saranno le/gli insegnanti già in forza, ciascuno/ciascuna per la parte di sua competenza? Ma se non sono riusciti/e ad affrontare questi temi, cioè l’aggancio di quello che insegnano con la vita e i costumi di oggi, giorno per giorno, utilizzando gli infiniti spunti che la “loro” materia offre – a partire dalla letteratura italiana e straniera, greca e latina (per chi la insegna), dalla storia dell’arte, dalla filosofia, dalla storia e dalla geografia (abolita), dalla biologia, dall’ecologia, dall’etologia, ecc., perché mai dovrebbero diventarne improvvisamente capaci nelle ore suppletive? Certo sugli argomenti cosiddetti “sensibili” gioca molto la censura dell’istituzione, ma anche l’autocensura, la paura di mettersi in gioco; ma forse anche il fatto di non averci riflettuto abbastanza. Alfonso Lanzieri, su L’Avvenire del 21 novembre, dopo aver ricordato che “l’aggiunta di specifiche offerte formative… rischia di farci dimenticare che Omero, Dante e Shakespeare, tanto per fare alcuni nomi, hanno già molto di serio da dire su emozioni, affetti, doveri, diritti, bene e male, sessualità”. E aggiunge: “Pretendere continuamente che a questo si sommino corsi e giornate rischia di mandare un messaggio devastante, vale a dire che ciò che si studia a scuola, in realtà, non serve… Per tutto quanto concerne le relazioni, le emozioni, i sentimenti, vale a dire per la polpa dell’esistenza, le pagine di filosofi, poeti, artisti, scienziati non sono competenti…”. Ciò, aggiungo, è come riconoscere che tutto quell’insegnamento curricolare, e tutte quelle pagine da studiare, sono perfettamente inutili. E allora, perché studiarle ancora? Non fanno forse bene, i giovani, ad annoiarsi a scuola e a farsi introdurre a quei temi non dalle famiglie (che non lo fanno e vedremo perché), bensì ieri dalla televisione e oggi dai social, che di violenza, a parole e per immagini, ne hanno da vendere? Ed ecco che siamo tornati al punto di partenza.

Cioè: perché, qualsiasi cosa si intenda con questo termine, solo i giovani devono essere educati all’affettività? Gli adulti non ne hanno bisogno? E perché mai, loro che hanno accesso – coloro che hanno accesso – agli strumenti attraverso cui si forma l’opinione pubblica, non sono in grado di farlo nella parte extrascolastica della giornata dei giovani? E qui casca l’asino.

Come si può chiedere di educare, o far educare, all’affettività a uomini (e donne) di un governo, di una maggioranza, dei suoi partiti, delle sue infinite clientele, che si ritrovano tutti – perché lì sono nati – sotto l’ombrello della figura di Berlusconi? Fino al punto di aver imposto la bandiera a mezz’asta nelle Università, nei palazzi del Governo, in quelli dei governi regionali e locali, nei musei, nelle caserme, ecc., per compiangere la dipartita di un uomo – i cui resti sono poi finiti al Famedio di Milano, motivo per cui non avremo mai più un Ugo Foscolo… – che si è caratterizzato, e ha caratterizzato tutti i suoi sodali, maschi e femmine (vittime, queste ultime, di un’evidente “sindrome di Stoccolma”) per il suo sovrano disprezzo per le donne (con espressioni diventate di pubblico dominio, come “un pullman di troie”, “la patonza deve girare”, “inscopabile”, ecc. Comprese le sue orge cosiddette “eleganti”).