TOMMASO MARINIELLO Frammenti di assurdi colloqui e relative risposte giuste da dare… Mai date

[La scuola deve cambiare, 13 settembre 2016]

Prima di cominciare un nuovo anno scolastico, dopo una riposante estate trascorsa con i suoceri, o dopo una o due decadi vissute come anfibi nelle località balneari, a scuola si organizzano un bel po’ di cosette da fare insieme ai nostri amabili e amorevoli compagni di viaggio minorenni o neo-adulti. In queste due settimane di sorrisi esibiti e malcelate preoccupazioni, di facili battutine sempre simpatiche e insostenibile stress da riavvio dei lavori, ci rendiamo conto di quanto sia stato perlopiù fallimentare tutto quel lavoro scrupoloso portato avanti durante le ferie per recuperare qualcosa di debilitato dall’usura connessa al nostro lavoro. E allora, vorrei offrire ai miei colleghi qualche momento di leggerezza, regalandogli degli assaggini di assurdità involontarie da parte di alcuni degli inconsapevoli dispensatori di seme e di uova incontrati nella mia carriera. È un buffet come sempre molto ricco, variopinto, c’è l’imbarazzo della scelta, e come sempre ti lascia alla fine un senso di nausea che ti accompagna ovunque o, se sei sfortunato, ti ritrovi con una stipsi di giorni e giorni. Perché noi insegnanti siamo un po’ ingordi, non siamo mai sazi dei problemi altrui o dei mali della società, non sappiamo resistere davanti a un’invitante tavolata di famiglie sgangherate, madri contraddittorie, padri autoritari senza polso, ragazzi ignari della loro spesso fasulla sicurezza o fieri del loro connubio col cinismo. Ci ingozziamo, buttiamo giù tante cose diverse e pesanti una dietro l’altra, e poi stiamo male, ma così male da avere bisogno di una di quelle vacanzone che non possiamo permetterci. Per questa ragione, voglio essere un dietista per i miei colleghi e proporre un buffet moderato, poche pietanze ma interessanti, presentato su un tavolo piccolo ma ingombro.

Vi è mai capitato di sentire dalla viva voce di una madre che la vostra alunna viene a scuola perché la stessa madre non è riuscita a imporle di starsene a casa a fare le pulizie?, che avete in classe una studentessa totalmente disconnessa da una qualsiasi attività didattica perché a casa non ci vuole stare e quindi “se ne parla all’anno nuovo”? L’unica cosa che mi risultava chiara da questo colloquio era la saggezza di questa adolescente che non trovava nulla di affascinante nella protagonista di una nota fiaba, una piccola orfana di madre vittima dello sfruttamento minorile della matrigna e del mobbing delle sorellastre. Altroché il principe azzurro! E i danni psicologici chi li paga!? E poi, vuoi mettere con la figata di andare ogni giorno a fare la guastafeste a scuola, mentre gli altri sgobbano e i professori maledicono la propria laurea?

Ora torno un po’ indietro nel tempo, voglio risalire a non molti ma non pochi anni fa… … … Roma… un liceo… periferia… una scuola seria… colleghi preparati… professionali… è il mese di Dicembre, i ragazzi occupano l’istituto… noi insegnanti siamo tenuti fuori, i ragazzi ci dicono di rimanere fuori… fa freddo… sul piazzale antistante c’è solo ombra… umido, freddo, sono giorni freddi… si sente sulla strada fuori scuola ancora la rigidità della nottata… uno studente discute sull’ingresso della scuola con un collega… non riusciamo a capire da lontano cosa si stiano dicendo… il collega torna, dice che ha dato dello stupido al papà del ragazzo con cui vistosamente discuteva… il padre dello studente non è là, ma il collega comunque gli ha dato dello stupido… questo signore ha firmato di suo pugno un’autorizzazione al figlio per poter occupare la scuola… ascolto… penso qualcosa ma non apro i miei pensieri ai colleghi… è proprio uno stupido.

Qual è la situazione più difficile che si possa presentare ai colloqui con i genitori?, la risposta più difficile da dare, il dialogo più imbarazzante, la conversazione nella quale si rischia di essere ipocriti con grande facilità? Quella del solito genitore che studia insieme al figlio e che per questa ragione ritiene inspiegabile un voto insufficiente… Io mi chiedo fino a che punto una persona non si renda conto di quello che dice. Se io mi proponessi come genitore-professore per un ripasso dopo cena, intra moenia, sullo sfondo un programma televisivo di cucina, i resti di una confortevole cena appena ingurgitata, sarei pronto a rinnegarmi davanti al mio alunno-figlio per non dovere mai comparire al cospetto del suo insegnante come il supplente a domicilio responsabile del fallimento. E invece no. Una madre – ricordo ancora il suo accento da saccente -, per un intero anno scolastico si è presentata, con e senza sua figlia – ricordo ancora la sua espressione inespressiva del viso –, per ragionare insieme al sottoscritto sulla persistente mediocrità della ragazza nella mia disciplina. Il confronto era difficilissimo, la tensione era sottotraccia e alimentava una sterile e formalissima conversazione: da entrambe le parti si fingeva di essere rispettosi dell’intelligenza dell’altro; da entrambe le parti si pensava il peggio dell’altro; l’uno considerava l’altro come la vera causa della mediocrità della ragazza, anche se in maniera diversa. Tempo perso a girare intorno a una doppia verità, la mia e la sua, entrambe aventi diritto a esistere in luogo democratico per vocazione come la scuola, destinate a detestarsi per tutta la vita. La ragazza fu rimandata alla fine dell’anno, quell’estate io scivolai sulla spiaggia sabbiosa di una incantevole località balneare, contro ogni legge della fisica.

E poi, ogni anno, non manca mai il genitore che, con assoluta normalità, compie un atto di somma irresponsabilità nei confronti di un figlio che frequenta le scuole superiori. Ne ricordo uno in particolare, una signora dall’aspetto borghese malriuscito ma esibito con convinzione. Mentre le presentavo il profilo di sua figlia sul piano didattico-disciplinare, la vedevo annuire. Le riportavo dei momenti significativi per provare quanto dicevo e per illustrare le varie criticità della ragazza. Il suo annuire non si interrompeva, anzi si aggiungeva ad esso una curvatura espressiva del lato destro della faccia, dall’arcata sopraccigliare al mento, che prendeva anche l’occhio, lo zigomo, l’angolo della bocca, le rughe delle guance esaltate dal trucco. Giungevo alla fine della mia esposizione, facendo presente alla signora dall’instancabile collo la possibilità che l’anno scolastico si concludesse per quella ragazza non nel migliore dei modi. Interruppe per qualche istante il comunicativo penzolare del capo per prorompere in un deciso “sì sì, mia figlia lo sa”, con un tono di voce chiaro e fermo – poi riprese ad annuire come fa il gattino cino-giapponese portafortuna con la sua zampetta meccanica. Le faccio notare che l’adolescenza è per definizione l’età delle illusioni, ma forse sua figlia era stata cresciuta come uno spartiate nell’età classica o forse sulle proprie spalle portava il peso di un mutuo-prima casa oppure era volontaria in Palestina per dare assistenza ai bambini nella striscia di Gaza. Insomma una quattordicenne maturissima, a tal punto che, secondo la sua madre fiera, “l’indirizzo del linguistico lo ha scelto lei, lo ha voluto lei… io le avevo detto di andare all’alberghiero”. Avrei dovuto dirle “e allora lei che viene a fare qui, a parlare con un insegnante, se delega la responsabilità delle scelte scolastiche a sua figlia?”, invece condussi la conversazione fino a una professionale, plausibile, cortese conclusione.

Ora basta, per me può bastare. Non so voi, ma io sono già sazio. Magari mi bevo qualcosa. Per aiutare la digestione…. della mente. Prometto che la prossima volta parlerò di genitori ok. In fondo, il nostro paese, secondo me, può ancora salvarsi.

 

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